Tuesday, May 26, 2015

Confessa il verme in fin di vita



Ho immaginato di chiedere alla vongola
di darmi la sua vita in cambio di qualcosa
e lei mi ha detto vai a chiedere a quel gambero
ed il gambero mi ha indicato il calamaro
e quello ancora il polipo affamato
e questo un tonno passeggero
che cosa si sian detti tra di loro
mi è più cifrato d'un codice in armeno
alla fine trovata una gallina all'apparenza scaltra
che infatti mi ha portato a domandare a un toro
molto cortese questo mi ha risposto subito
dammi un mese d'erba fresca e quella mucca
convincila a farsi sedurre dai miei scalpiti
così ho fatto e la quinta settimana
il banchetto ha sfamato tutti del paese
ma il dubbio resta profondo ed indigesto
fu un martire quel potente essere cornuto
o un santo o solo consapevole o neanche
che di qui si passa per divenire pranzi
a volte cene senza ragioni conoscibili
ma una ragione ultima dev'esserci
forse la conosce il verme masticando la carcassa
e la confessa al merlo solo in fin di vita.

Marco Sclarandis

Saturday, May 23, 2015

Biciclettata adriatica, 2 giugno 2015

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Lascia la trivella premi la pedivella.

Da quanto tempo dura l’era del petrolio?
Da poco più di un secolo e mezzo.
Durante il quale questa fetida ambrosia oleosa ci ha permesso la soddisfazione di desideri antichi come le montagne e che immaginavamo solo Dei d’un Olimpo potessero soddisfare.
Distillato due volte.
Una prima volta nel roccioso profondo geologico ed una seconda nei più grandi e mostruosi alambicchi che la mente umana abbia mai concepito e costruito.
Mille miliardi di barili, centocinquantanove chilometri cubi, centotrenta miliardi di tonnellate.
Pressochè il volume dei laghi italiani messi insieme.Questa è la stima di quello che abbiamo estratto dalla Terra durante tutto questo breve passato, brevissimo se confrontato alla storia umana, mille volte almeno, più lunga e di quella del petrolio stesso, più di un milione di volte più lunga ancora.
Agli occhi di  un pianeta satellite come la Luna, un fuoco fatuo.
Fuoco fatuo è l’immagine migliore per descrivere l’estrazione di questo inebriante rosòlio dai mari italiani.E fuoco ancor più fatuo sarebbe quella d’ora in poi dal mare Adriatico.
Questa affermazione non si fonda su congetture fantasiose o su notizie da articoli da scoop giornalistico.
Ci sono dei fatti e dei dati che chiunque può trovare, sapendo cercarli, di varie fonti che provano che le cose stiano in questi termini.
Si può incominciare da “Il paese degli elefanti”
-miti e realtà sulle riserve italiane degli idrocarburi- di Luca Pardi, Lu::ce edizioni.
Un libretto agile che è come il bandolo di una matassa di conoscenze intricate ma fondamentali.
Quindi nessun oscuro complotto o arcane verità rivelate a pochi adepti.
Solo fatti, e non riguardano solo il piccolo incantevole lago salato mediterraneo, qual è
l’Adriatico, ma tutto il pianeta, che ci dicono come e quanto, il petrolio ci abbia ormai dato il meglio che avrebbe potuto darci, sebbene noi siamo riusciti a distillarne anche molto del peggio.
Due guerre mondiali tanto per farne un esempio.
Ci sono ottime, eccellenti ragioni per non trivellare l’Adriatico, indipendentemente da qualsiasi quantità d’idrocarburi fossili possano esservi sepolte.Fortunatamente il carbone si trova sepolto in altri luoghi.
Ma la principale, quella sovrastante tutte, è che dobbiamo smettere immediatamente di bruciare
queste sostanze, se vogliamo tenerci un clima a cui ci siamo abituati da millenni.
E’ un’impresa quasi sovrumana, questa dismissione.
Perché da tre secoli, con il carbone prima, il petrolio dopo e per finire con l’uranio e il plutonio,
ci siamo abituati a vivere con un flusso d’energia e di risorse d’ogni genere, che ha qualcosa di
molto affine ad una tossicodipendenza.
Qualsiasi cosa, che dia insieme assuefazione e dipendenza, insieme a gravi danni alla salute, viene considerata una droga tossica.
Il petrolio, è da considerarsi una di queste cose, non c’è dubbio.Non è la sostanza maligna in sé stessa, ma quello che ci ha portato a fare.Pure l’alcool produce in noi effetti simili, e lo sappiamo da millenni.Ma il petrolio s’è rivelato una droga speciale, quasi una quintessenza delle altre.
Ecco allora che uno dei mezzi per cominciare la cura disintossicante, è sicuramente l’umile velocipede.Un congegno leonardesco che ha dovuto attendere quasi mezzo millennio per venire alla luce.
E’ il mezzo che tuttora ha la massima efficienza nel trasportare uomini bestie e cose dovunque.
Come ogni mezzo, ha i suoi limiti, ma considerati i vantaggi, è un capolavoro della natura umana.
La bicicletta amplifica le nostre capacità, pur lasciandoci consapevoli del confine oltre il quale inizia la dismisura, l’hybris, la follia che porta alla perdizione.
Un mondo in equilibrio su due ruote e con l’ausilio d’un manubrio è come un sogno rinascimentale
realizzato, ma esente dai suoi aspetti più foschi.
Poche cose sono appaganti, romantiche, desiderabili, accessibili, come una lunga gita in bicicletta, anche in un mondo che tuttora romba e sferraglia d’ordigni funzionanti con quella ambrosia, cibo degli dei, ma fetida ed untuosa, pregna di nerissi incubi.
La costa adriatica ci aspetta.

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Marco Sclarandis

Thursday, May 21, 2015

Thursday, May 14, 2015

Guida rapida per i cosiddetti esperti petroliferi


 

"Guida rapida per i cosiddetti esperti petroliferi"

http://www.ugobardi.blogspot.it/2015/05/guida-rapida-per-i-cosiddetti-esperti.html

Questo articolo di Antonio Turiel mi ha ispirato queste considerazioni:

Dismisura*.
Questa mi sembra la parola che sta alla radice della situazione inequivocabilmente catastrofica in cui ci troviamo.
E la dismisura sta sia nel troppo poco come nel troppo.
Si può discutere per anni  sulla quantità e qualità dell'energia e delle materie prime seconde e terze di cui avremmo bisogno per vivere, perchè ciò che viene condiderato vivere per qualcuno è per qualcun altro un mero sopravvivere.
Siamo in troppi? O pretendiamo troppo? O peggio la combinazione esponenziata delle due cose? ( quindi peggio che la loro somma o moltiplicazione)
Se, e credo che più che un "se" sia un "certamente" il petrolio, quei mille miliardi di barili finora impiegati, ci hanno via via drogato nell'arco di un solo secolo e mezzo, come ha mirabilmente ipotizzato Nate Hagens in un suo articolo di anni fa, allora è arrivata la crisi d'astinenza.
E comunque, nemmeno l'energia rinnovabile e la perfetta chiusura di ogni cerchio, come direbbe Barry Commoner, possono salvarci dalla nostra natura.
Il bisogno spirituale cui fa accenno Paolo 14 maggio 2015 10.46 credo che sia quello di conciliare la consapevolezza della finitezza dell'esistenza con il desiderio di vita almeno perenne, se non eterna.
Detto questo, e non è certo una novità, il più, il di più, che ormai è diventato un troppo, un mostruoso ecceso in ogni ambito, crea soltanto perdite disastrose dovumque.
Una di queste è la tanto declamata biodiversità, ovvero quell'insieme "d'infinite forme bellissime" di cui ora ne vive sulla terra un centesimo di quelle comparse all'inizio della vita terrestre, e che entro questo secolo potrebbe essere più che dimezzata.
Noi umani siamo forse fuori dalla Natura?
Non credo proprio, anzi siamo l'eccesso degli eccessi della Natura stessa.
Siamo qui da poco tempo, ma misurare il tempo in anni potrebbe essere sbagliato nel nostro caso.
Se lo misurassimo in "spazio dell'immaginazione" di cento miliardi di esseri come noi, tale è la stima dell'Homo fatto come noi o molto simile finora vissuti, questo spazio sarebbe immenso.
E forse occorrerebbe un universo come quello osservabile per contenerlo.Anzi, un arso vivo quale fu Giordano Bruno osò pensare che forse non sarebbe bastano neanche.
Ma siamo qui, stipati sulla superficie d'un pianeta dove ormai abbiamo pro-capite soltanto un grosso cortile di terraferma ed abitabile.
Questa mi pare la dimensione anzi la pluridimensione dell'epoca che stiamo vivendo.
Noi siamo dismisura incarnata.Da millenni e millenni e millenni.E l'abbiamo sempre saputo.
Se è così, può anche essere che Madre e Matrigna e Madonna Natura, ora che abbiamo raggiunto il confine invalicabile se non con la morte, abbia per noi in serbo qualche stupefacente soluzione.
Eugenio Finardi** scrisse una memorabile canzone a proposito, e decenni fa ormai, ma quei "Dove sono tutti quanti"***, appunto dove sono?.
Io credo che siamo noi stessi medesimi appena cerchiamo di vederci come ci vede un altro.
Da qui possiamo di volta in volta trovare una misura esatta, il nè troppo, nè troppo poco, quel giusto abbondante di cui abbiamo un disperato bisogno.
Hybris - Wikipedia 


*Hybris (ˈhyːbris, in greco antico ὕβϱις, traslitterato in Ýbris) è un topos (tema ricorrente) della tragedia greca e della letteratura greca, presente anche nella Poetica di Aristotele. Significa letteralmente "tracotanza", "eccesso", "superbia", “orgoglio” o "prevaricazione".
Nella trama della tragedia, la hýbris è un evento accaduto nel passato che influenza in modo negativo gli eventi del presente. È una "colpa" dovuta a un’azione che vìola leggi divine immutabili, ed è la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie. Al termine hýbris viene spesso associato, come diretta conseguenza, quello di "némesis", in greco νέμεσις, che significa "vendetta degli dei", "ira", "sdegno" e che quindi si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dei a chi si macchia di tracotanza. Degno di nota è persino il concetto relativo all'"invidia degli dèi" (in greco ο φθόνος των θεών). In molte tragedie, infatti, essa costituisce lo sviluppo narrativo che porta come conseguenza al commettere un atto di hýbris e, di conseguenza, essere uno hýbristes ossia colpevole di tracotanza. Questa "colpa" ha origine nella natura umana come anello mancante tra le bestie e le divinità. In senso pratico, quindi, l'uomo ha l'imperativo di non cercare di rendersi "divino" così come avvicinarsi ad una condizione animalesca. In entrambi in casi si può incorrere nel peccato di hýbris. Questo è ciò che accade, ad esempio, nel racconto di Icaro, colpevole di aver voluto cercare una condizione di sola prerogativa divina (ossia l'essersi costruito delle ali di cera per volare) e successivamente punito dagli stessi dèi, poiché macchiato appunto del peccato di hýbris.
Il tema ricorre spessissimo nella Divina Commedia di Dante Alighieri in ottica cristiana; qualsiasi peccato può essere ricondotto alla hybris dell'uomo, che tenta di arrivare con la ragione a comprendere i misteri del divino, ponendosi egli stesso come Dio.


**://www.youtube.com/watch?v=JiC4u3xB8Cc

***http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Fermi

 

Marco Sclarandis

Wednesday, May 6, 2015

Quali Giuseppe quali



Quali di tutte quelle otterà sconto
Giuseppe tu che le hai di fronte viste
tu che hai vissuto a lungo al fronte
e hai varcato molteplici frontiere
 

quella dell’annegato ad un braccio dalla riva
o l’altra dell’inumato sotto cataste di mattoni
del prescelto dalla vana sorte
per recitare la parte d’affamato
o di chi ha messo piede in casella errata
proprio al momento inopportuno

non le considero neanche quelle
che Giacomo vedeva
come imparziali esecuzioni
di matrigna spietata ma imparziale

in quale inimmaginabile mercato
avverrano le transazioni apocalittiche
che metteranno fine a tanto commercio assurdo

ieri avrei ceduto anni presunti insopportabili
in cambio di partenza anticipata
oggi sono già reo pentito
domani temo che ritratterò di nuovo
ad ogni lutto che non sappia incasellare

Quali Giuseppe quali
si scontano consumando logorando vita
quali vanno invece pagate per intero.


Marco Sclarandis

A caso uno su miriade

Mantide che mi guardi
e stai al gioco delle mie dita umane
mi sbaglierò ma in te vedo estremo desiderio
di perdere anche le ali e gelida ferocia
pur di ottenere metamorfosi
no tu non vuoi mutarti in altro vertebrato
o in uno qualsiasi esistente al mondo
vuoi le mie membra la mia mente
non so come ma sento che sai della mia ebbrezza
e vuoi provarla offrendo in cambio vita
distogliti splendida audace creatura
da questa insana brama
tu tendi l'agguato all'afide alla falena al ragno
noi lo facciamo tra di noi
anche dopo il pranzo e sazi
così come se fossimo insetti condannati
a uscir di celletta o favo o guscio
solo per perpetuarci
a caso uno su miriade.


Marco Sclarandis

Saturday, May 2, 2015

Quando accadrà di noi diranno


Per un’ora di noi rideranno le formiche 
dietro di loro accompagnate da cori di cicale
non tra un millennio piuttosto in questo secolo
non so in quale data ricorrenza lo faranno
può essere già accaduto e noi ignorarlo

da molti alveoli esagonali ronzano sorrisi
da quei visi rivolti verso quei cubicoli squadrati
fatti di plastica d’acciaio di cemento
invadenti più degli autunnali funghi
illuminati contro ogni necessario buio

per noi quegli occhi sfaccettati alieni
ci guardano ma non sanno non comprendono
hanno espressioni smorfie indecibrabili
capocce troppo piccole per idee grandiose
stagioni insufficenti per maestose imprese

eppure perché non potrebbe essere
che anche una sola volta per un’ora sola
questi esapodi non siano esauditi con prodigio
ci vedano come noi vediamo loro
e il resto che ne viene in conseguenza

chissà se allora disponendo di giornata intera
non comincerebbero ad organizzarsi
quanta distanza attraverso labirinti
dovrebbero coprire per raggiungerci
quanta confusione dominare per riuscirci

vedo adesso io l’ape stolidamente laboriosa
tuffata in mezzo e petali e pistilli del limone
di me sorrido un poco conoscendomi
se dovessi darle un’anima o negargliela
resterei indeciso come calabrone

se morsicare pesca acerba od uva non matura
ecco di quel sorriso credo di sapere
quando accadrà di noi diranno
così astuti così giganti e forti
ma le vostre ali sono solo pròtesi.

Marco Sclarandis