Thursday, October 10, 2013

La dittatura dei fatti




Perché uno più uno fa due ?



Sembra facile rispondere a questa domanda, ma bisogna provarci per rendersi conto che facile non lo è per niente.



E’ più facile rispondere a questa domanda con un’altra, che è questa:



Se non facesse due quanto farebbe ?



Da qui, dal “quanto farebbe ? ” s’intuisce immediatamente che tutti, o quasi e, se non da sempre, da tempo immemorabile sono d’accordo che uno più uno, sia equivalente a 1+1 e che faccia due, ovvero 2.



E sono d’accordo per il semplice e autoevidente fatto che se uno più uno fa due (1+1= 2), allora funzionano a meraviglia 
un’infinità di cose che altrimenti funzionerebbero solo nella testa di tutti quanti, ma ognuno a modo suo.

In un mondo dove 1+1 non facesse due, solo la magia potrebbe funzionare.



E forse non sarebbe nemmeno uno dei peggiori mondi possibili.



Nella realtà, in un certo senso, anzi in molti sensi, 1+1 fa non solo 3 o quattro, o metà o addirittura niente, tant’è che nei circuiti elettronici dei computer, succedono proprio fatti del genere. Lì 1+1 può proprio fare ancora 1 oppure 0 (zero).



Eppure, un fatto, più un fatto, più ancora un fatto, che insieme assommano a tre fatti possono fare una cosa che corrisponde a decine di cambiamenti nella vita di miliardi di persone, e per decenni interi.



Uno dei fatti è l’esaurirsi delle fonti d’energia altamente concentrate e a basso costo economico ma alto costo ambientale.

Altrimenti dette fonti d’energia fossile e anche fissile, come l’uranio 235.



L’altro fatto è l’impoverirsi di ogni genere di risorsa mineraria concentrata a basso costo economico, e sempre ad alto costo ambientale, e ciò riguarda praticamente tutti, ma proprio tutti gli elementi chimici esistenti in natura, dall’idrogeno fino all’uranio, sebbene in entità differenti.


L’acqua, per esempio, quella dolce, non è forse da considerare una risorsa mineraria sebbene liquida?

 
E quella pura, fresca, chiara e dolce che Francesco Petrarca canta in uno dei suoi
celebri versi non sta forse diventando una merce contesa con clangore d’armi?.
 
Ecco allora che uno più uno, più uno, più uno, fa sì un trio, ma che che contiene
 una tale pluralità di fatti che bisogna adoperare l’aritmetica in un altro modo 
per capire che cosa sta accadendo al mondo.
 
Un terzo fatto è la pura e semplice impossibilità di far corrispondere tutto
il denaro che possiamo stampare a ciò che esiste realmente.
Sulla terra non esistono cento miliardi di uova di struzzo o di Fabergè.
Indipendentemente dai soldi che ci si può inventare per comprarle. 
  
E basta aggiungere un altro fatto, la crescita, ancora di tipo esponenziale, della 
popolazione umana per capire che il quartetto di fatti è un’orchestra 
che sta cominciando a suonare una marcia macabra.
 
Per ora preferisco alleggerire i cupi pensieri con le antiche parole petrarchesche: 
 
“Chiare, fresche et dolci acque, 
ove le belle membra 
pose colei che sola a me par donna; 
gentil ramo ove piacque 
(con sospir mi rimembra) 
a lei di fare al bel fianco colonna; 
erba e fior che la gonna 
leggiadra ricoverse 
co l'angelico seno; 
aere sacro, sereno, 
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: 
date udienza insieme 
a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino, 
e 'l cielo in ciò s'adopra, 
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, 
qualche grazia il meschino 
corpo fra voi ricopra, 
e torni l'alma al proprio albergo ignuda. 
La morte fia men cruda 
se questa spene porto 
a quel dubbioso passo; 
ché lo spirito lasso 
non poria mai in più riposato porto 
né in più tranquilla fossa 
fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse 
ch'a l'usato soggiorno 
torni la fera bella e mansueta, 
et là ' ov' ella mi scorse 
nel benedetto giorno 
volga la vista disiosa et lieta, 
cercandomi: et, o pieta!, 
già terra infra le pietre 
vedendo, Amor l'inspiri 
in guisa che sospiri 
sì dolcemente che mercé m'impetre, 
et faccia forza al cielo, 
asciugandosi gli occhi col bel velo.
Da' be' rami scendea 
(dolce ne la memoria) 
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; 
et ella si sedea 
umile in tanta gloria, 
coverta già de l'amoroso nembo. 
Qual fior cadea sul lembo, 
qual su le trecce bionde, 
ch'oro forbito et perle 
eran quel dì, a vederle; 
qual si posava in terra, e qual su l'onde; 
qual, con un vago errore 
girando, parea dir: Qui regna Amore
Quante volte diss'io 
allor pien di spavento: 
Costei per fermo nacque in paradiso. 
Così carco d'oblio
il divin portamento 
e 'l volto e le parole e 'l dolce riso 
m'aveano, et sì diviso 
da l'imagine vera, 
ch'i' dicea sospirando: 
Qui come venn'io, o quando?; 
credendo esser in ciel, non là dov'era. 
Da indi in qua mi piace 
questa erba sì, ch'altrove non ho pace.
Se tu avessi ornamenti quant' hai voglia, 
poresti arditamente 
uscir del bosco e gir in fra la gente.”
 
 
Uno più uno, quando non fa due, può fare tutto ciò che è possibile.
Questa è la dittatura dei fatti, e anche dei misfatti.
 
Marco sclarandis






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